Con la sentenza n. 66 del 13/3/2024 il Consiglio Nazionale Forense ha applicato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per un anno a carico di un Avvocato che era stato sottoposto a procedimento disciplinare per condotte ritenute contrarie al Codice Deontologico quali in sintesi: 1) ritardo nell’adempimento del mandato professionale conferitogli; 2) non informandone i Clienti e fornendo loro indicazioni non veritiere; 3) non restituendo i documenti della pratica nonostante la revoca del mandato e conseguenti solleciti dei Professionisti subentratigli nella difesa; 4) consegnando ai Clienti una copia di una sentenza contraffatta; 5) richiesto e trattenuto le somme anticipategli  dai Clienti quale corrispettivo per una prestazione professionale alla quale in realtà non aveva mai dato adempimento.

Si noti però che da questa ultima imputazione l’Avvocato è stato prosciolto poiché la sentenza del C.N.F. ha affermato un principio rilevante: un Professionista ovviamente deve restituire il compenso anticipatogli per un’attività alla quale poi non abbia adempiuto.

Tale obbligo però non sorge automaticamente a fronte della semplice pretesa di restituzione da parte del Cliente che gli imputi l’inadempimento. Il Professionista infatti ben può trattenere il compenso preteso finché non venga accertato giudiziariamente l’egualmente preteso inadempimento e la conseguente condanna al versamento del rimborso ma nella misura determinata dal Giudice.

Infatti anche il Professionista, come qualsiasi cittadino, ha il diritto di difendersi contro le pretese di un Cliente. E non è obbligato quindi neanche deontologicamente ad anticipargli immediatamente la pretesa restituzione del compenso, neanche se il Cliente lo pretenda con l’avvertimento di denunciarlo all’Ordine degli Avvocati in caso contrario.