Una recente sentenza della Cassazione esamina gli effetti della infedeltà coniugale sulla separazione giudiziaria con richiesta di addebito.

La Corte di Appello aveva dichiarato la separazione personale di due coniugi ponendo a carico del marito l’obbligo di un assegno mensile di € 60.000 oltre ad € 19.000 per il mantenimento del figlio.

Così rigettando la richiesta del marito di addebito della separazione ex art. 151, 2° c., c.c.., a carico della moglie per i suoi numerosi comportamenti infedeli.

La Corte non gli aveva accolto la domanda perché in particolare il marito aveva accettato, in costanza di matrimonio, il comportamento per lungo tempo infedele della moglie. Evidentemente ritenendo tollerabile cionondimeno la prosecuzione della loro convivenza, avevano stabilito i Giudici.

Il marito ha impugnato sul punto la sentenza della Corte in Cassazione eccependo che la passata acquiescenza alla precedente relazione extraconiugale della moglie non poteva impedirgli di dolersi anche di quelle numerose e continuate successive, con le conseguenze del caso.

La moglie ha resistito nel giudizio in Cassazione eccependo anche (oltre alla precedente tolleranza)  che l’istituto dell’addebito della separazione costituisce una disparità di trattamento a carico del coniuge più debole poiché lo priva del diritto al mantenimento e dei diritti successori.

Ritenendolo un istituto oramai obsoleto, sconosciuto agli ordinamenti degli altri Stati membri dell U.E., non previsto nelle unioni civili, anacronistico  in relazione all’evoluzione storico culturale dell’istituto del matrimonio tradizionale.

La Corte di Cassazione ha conseguentemente esaminato in sentenza il rapporto tra l’infedeltà coniugale e la separazione giudiziale con addebito.

Precisando che per dichiarare l’addebito occorre la prova che la crisi coniugale sia causata direttamente dal comportamento di uno od entrambi i coniugi e cioè che vi sia un nesso di casualità tra l’infedeltà e la conseguente intollerabilità della convivenza coniugale.

Di regola l’infedeltà giustifica già ex se l’addebito  a carico del coniuge infedele. A meno che non si provi però che in realtà non sia stata la causa ma solo la conseguenza di una già precedente crisi coniugale tale da aver reso la convivenza oramai più che altro formale.

E’ onere pertanto di chi chieda l’addebito della separazione di provare che l’infedeltà sia stata la vera causa della crisi coniugale. Come spetta all’altra parte provare al contrario che la crisi matrimoniale fosse precedente all’infedeltà e non provocata da quest’ultima.

Nella fattispecie il marito aveva inutilmente chiesto in Corte di Appello di provare che l’infedeltà coniugale della moglie non fosse stato un episodio isolato (e quindi superato da una ripresa dei rapporti coniugali) ma che era stata seguita da molte altre, una dopo l’altra, fino a provocare la domanda di separazione. Proposta dallo stesso che non era più disposto a continuare oltremodo a tollerarla.

Dichiarando che la sua acquiescenza iniziale era nel tempo venuta meno a causa della continua reiterazione della violazione del dovere di fedeltà della moglie.

La Suprema Corte ha cassato il rifiuto della Corte di Appello alla richiesta del marito di provare l’infedeltà ritenendo che la sua pur lunga tolleranza  nei confronti della prima relazione non sia sufficiente a rigettare tout court la domanda di addebito della separazione per via delle tante violazioni successive.

Le tolleranze  alle infedeltà della moglie, conclude la Cassazione, non avrebbero potuto causare l’addebito esclusivamente se, dopo la prima, la vita coniugale fosse pienamente ripresa senza più violazioni e con il  perdono. Oppure se l’uomo avesse continuato a non dare  minima importanza del comportamento della donna ed alle sue successive relazioni extraconiugali, come  fatto in un primo tempo.

Né la Corte ha accolto l’eccezione della moglie sul superamento nel mondo attuale del concetto di separazione con addebito poiché la legittimità costituzionale del relativo articolo 151, c. 2, c.c., è stata riconfermata anche dalla Corte Costituzionale. Che ha riconosciuto al coniuge infedele, ma economicamente più debole, almeno il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c. e conseguentemente, in caso di morte del coniuge, un assegno vitalizio ex art. 548 c.c. (oltre al diritto alla pensione di reversibilità: Cass. 7464/2019).

Per questi motivi la Cassazione ha accolto la richiesta del marito di addebito  nonostante la sua acquiescenza all’infedeltà coniugale, rinviandone l’accertamento specifico alla Corte di Appello.

Che, qualora la acclarasse, potrebbe ridurre (se non togliere) alla moglie l’assegno di € 60.000 mensili.

Come noto l’addebito ad un coniuge della separazione (esclusivamente ad istanza di parte, non d’ufficio) ha natura sanzionatoria perché lo si ritiene responsabile del fallimento dell’unione per violazione dei doveri coniugali ex art. 143, 2° c., c.c..

(Invece al coniuge divorziato  non spetta alcun diritto ereditario, salvo l’eventuale assegno divorzile – a carico dei suoi eredi – qualora si trovi in stato di bisogno, art. 9 bis L. 898/1970, ex art. 438 c.c.).